Il problema del G.O.A.T.

Micheal (Jordan), LeBron (James), Kobe (Bryant), Bill (Russell), Wilt (Chamberlain), Earvin (“Magic” Johnson), Kareem (Abdul-Jabbar), Larry (Bird).

Questi sono più o meno i nomi che vengono fatti quando si parla del Greatest Of All Times (o per l’appunto G.O.A.T.). Tutti hanno motivo (in maniera particolare i primi 4) per essere considerati tali.

Di Micheal Jordan é stato detto tanto, forse troppo. L’abbiamo visto in “The Last Dance” su Netflix, per cui ce l’abbiamo fresco nella memoria: ad un certo punto il prodotto MJ é diventato addirittura più importante della stessa NBA, allucinante. Per quanto riguarda il gioco, c’é poco da dire: ha sempre detto la sua sui due lati del campo. 6 anelli in altrettante finali giocate (e 6 titoli di MVP della finale), e non sono stati 8, perché per un anno e mezzo ha deciso di darsi al baseball. Insieme a Magic e Bird é stato membro della più forte squadra di tutti i tempi, il Dream Team che prese parte alle Olimpiadi di Barcellona 92.

LeBron James é l’androide (o l’alieno se preferite). Ha provato a fare quello che non era riuscito a nessuno nei 3 sport principali negli States (basket, baseball, football): vincere a Cleveland. In un primo momento non ce l’ha fatta, é emigrato a Miami per “imparare a vincere”, e una volta tornato a casa (sì, perché LeBron viene da Akron, Ohio) ha portato i Cavs al titolo, unica squadra capace di rimontare una svantaggo di 3-1 in una Finale NBA. Quattro titoli e quattro volte MVP delle finali con tre franchigie diverse, uno nella storia ad esserci riuscio; 8 finali consecuive, 10 nei 17 anni nella lega, solo Russell ha fatto meglio.  Potrebbe diventare il miglior realizzatore della storia dell’NBA nei prossimi 2-3 anni, scalzando Kareem Abdul-Jabbar.

Anche di Kobe Bryant negli ultimi mesi (almeno nel 2020 pre-covid) si é parlato molto e sappiamo bene il perché: quel maledetto 26 gennaio e quel volo in elicottero che l’ha portato via insieme alla figlia Gianna e agli altri passeggeri. Per 7 anni ha vissuto in Italia, al seguito del padre che era a sua volta un giocatore di pallacanestro. Cinque anelli (su 7 finali giocate) e 2 titoli MVP delle Finals. Sovrapporre immagini sue e di MJ ci mostrano quanto His Airness lo avesse ispirato. Una sentenza su entrambi i lati del campo da gioco, ha elevato il suo gioco a livelli celestiali. Per la prima decade del nuovo millennio é stato il miglior giocatore del pianeta. Unico giocatore NBA ad aver vinto anche un Oscar per la trasposizione animata della sua lettera d’addio al basket.

Per quanto riguarda Bill Russell, ce ne sarebbero di cose da dire, ma partiamo con la più conosciuta: 11 titoli NBA in 13 stagioni (9 finali consecutive) con la stessa squadra, i Boston Celtics. Un giocatore dominante sotto ogni aspetto del gioco. In attacco capace di segnare facile 50 punti, sfornare assist e prendere 20 rimbalzi e rifilare una decina di stoppate, fondamentale che ha saputo trasformare in realtà in un’arma d’attacco perché spesso dalla stoppata la squadra ripartiva con dei contropiedi fulminei, oltre ai recuperi. Insieme a Bob Cousy ha portato quei Celtics degli anni 60 all’eccellenza sportiva. Memorabili le sue sfide sotto le plance con Wilt Chamberlain, col quale strinse una sincera amicizia nel tempo. Non ha mai vinto il titolo di MVP delle Finals (che però porta il suo nome), ma solo perché venne inaugurato nel 1969 (anno dell’ultimo titolo vinto, ma il premio venne dato, unica volta nella storia, ad un giocatore della squadra perdente, Jerry West).

Wilt Chamberlain é stato forse il più grande numero 5 d’attacco della lega. Capace di mettere a segno 100 punti in una singola partita e di recuperare 55 rimbalzi in un altra (entrambi i risultati sono tutt’ora record in NBA), ha vinto 2 titoli NBA (1 MVP delle Finals) in 5 finali. Ha avuto la sfortuna di incontrare sul suo cammino Bill Russell e i suoi Celtics prima e Kareem Abdul-Jabbar poi. Per il suo fisico, a detta del buon Federico Buffa, in altri tempi sarebbe stato considerato un semidio.

Kareem Abdul-Jabbar, o mister Sky Hook, é attualmente il miglior realizzatore della NBA, ha giocato 20 anni nella lega a livelli altissimi e memorabili furono le sue sfide con Wilt Chamberlain nei primi anni della sua carriera, quando con Milwaukee vinse il titolo nel 1971. Dopo il passaggio ai Lakers ha vinto altri 5 titoli nel periodo dello Showtime, arrivando a 6 anelli e 2 titoli MVP delle Finals. Ha fatto del suo Gancio Cielo un’arma impossibile da fermare. Ricordiamo che ai sui tempi nell’NCAA, per limitarne lo strapotere, venne vietata la schiacciata. Forse il meno considerato al ruolo di G.O.A.T., ma a mio avviso rientra nella lotta senza troppi problemi.

Earvin “Magic” Johnson é indubbiamente il padrone dello Showtime, nomignolo dato alla pallacanestro spettacolare giocata dai Los Angeles Lakers degli anni 80. Cinque titoli in 12 anni, con il suo Baby hook ha messo fine alla maledizione per la quale i Lakers non hanno mai sconfitto i Celtics nelle Finali NBA. Una volta ritiratosi a causa della sua positività al virus dell’HIV (notizia che ai tempi scosse non poco noi giovani baskettari) nel 1991, nel 1992 é stato convocato per voto popolare all’All Star Game, del quale fu nominato MVP. Nelle Finals del 1980, da rookie, giocò gara 6 nel ruolo di centro per l’assenza di KAJ, ma la cosa non lo sconvolse minimamente: 42 punti, 15 rimbalzi, 7 assist. Dopo gara 7, vinta in trasferta a Philadelphia, venne eletto MVP delle Finali, primo rookie a riuscirci. Insieme a Jordan e Bird é stato membro della più forte squadra di tutti i tempi, il Dream Team che prese parte alle Olimpiadi di Barcellona 92

Larry Bird é stato uno degli ultimi giocatori non di colore a dominare la lega (gli ultimi Steve Nash e Dirk Nowitzki). Dopo le memorabili finali NCAA tra la sua Indiana State e la Michigan State di Magic, decide di passare professionista, venendo scelto dai Boston Celtics. Un giocatore fantastico, non spettacolare, ma capace di cose belle, con un’etica del lavoro che pochi hanno mostrato prima e dopo (forse “peggio” di lui solo Kobe Bryant). Primo giocatore di una certa altezza ad usare il tiro da tre come arma tattica e mortale. Tre titoli NBA, 2 volte MVP delle Finals, Rookie of the year, vincitore delle prime 3 edizioni del Three-Point Contest all’All Star Game. Capace di usare la sola mano sinistra in una gara, segnando 47 punti, compresi i canestri che sono valsi il suplementare prima e la vittoria poi. Insieme a Magic e Jordan é stato membro della più forte squadra di tutti i tempi, il Dream Team che prese parte alle Olimpiadi di Barcellona 92.

Menzione d’onore per alcuni giocatori:

  • Tim Duncan, the Big Fundamental. Qui ci va il cuore, da tifoso Spurs non posso non menzionare il nativo di Sant Croix: 5 titoli NBA, insieme a David Robinson sono stati l’ultima coppia di lunghi a dominare il gioco.
  • Oscar Robertson, primo e per 55 anni unico giocatore a chiudere la stagione con una tripla doppia di media, se adesso é una cosa difficile ma non impossibile, nel 1962 vi posso assicurare che é stata una vera impresa. Rookie dell’anno, 1 titolo NBA coi Bucks.
  • John Stockton e Karl Malone, li nomino assieme, perché assieme sono stati una delle migliori coppie della lega: Stockton to Malone per anni é stata una frase tipica dei commentatori delle partite dei Jazz. Per due stagioni, hanno anche accarezzato il sogno di vincere, venendo entrambe le volte sconfitti dai Bulls di MJ.
  • Robert Horry, altresì noto come Big Shot Rob, per la sua freddezza e la capacità di essere clutch. Unico giocatore ad aver vinto più di sei anelli (sette nel suo caso) senza aver fatto parte dei mitici Celtics di Bill Russell che tra fine anni 50 e fine anni 60 vinsero 11 titoli in 13 stagioni, avendone vinti 2 con Houston, 3 coi Lakers e 2 con gli Spurs, risultando indispensabile in tutte le vittorie, risultando uno dei pochi giocatori ad aver vinto il titolo con 3 squadre diverse (gli altri: John Salley, LeBron James e Danny Green).